Con gli occhi di tre donne


Mostra Collettiva


presso ristorante





Giardini di San Domenico, Imola



dal 06/11/10 al 05/12/10


Daniela Borgini Gabriella Sangiorgi Isa Tamagnini





Sabato 4 settembre 2010


Programma:

a partire dalle 17

MERCATINO ARTISTICO-ARTIGIANALE

INTRATTENIMENTO PER BAMBINI

ore 22 Concerto METEORA


La band ripropone in versione sorprendentemente rock i più grandi successi della Disco po degli anni ‘80, suonati e ballati nelle discoteche e nelle feste di tutto il mondo. Non i soliti ‘80!

In caso di maltempo la manifestazione verrà rinviata a sabato 18 settembre

Con il patrocinio del Comune di Imola e in collaborazione con Area Blu e “Ai Giardini”



La mostra avrà inizio Sabato 5 12.09 alle 17 e terminerà nella serata di Domenica 13.12.09

Presso la Sala Espositiva del Comune
Via Emilia interna n.50, Castel Bolognese (Ra)


Referente della mostra Sig. Donatella Galeati
cell. 339 7038654.


  • Badge di Facebook Daniela Borgini

    Abbonati!

    Finchè la morte - Racconto di Isa Tamagnini (pag.2)






    Conoscevano il modo di infliggere ferite che non procurassero un dolore che il Maestro dei Maestri non avesse imparato negli anni di iniziazione a sopportare.

    La strada che i chiodi presero verso la croce era piana agli occhi di chi la conosceva.

    Poche ore e il cuore si spense. Il respiro tacque. Il Figlio della luce, il più amato, sembrò vinto dalla morte. Io stessa, che sapevo, ai piedi della croce e la vecchia, non potemmo che crederlo tale. Quando la terra tremò e tutti fuggirono spaventati, nessuno fece caso ai due monaci che lo portarono al sepolcro.

    Chiusi dentro, lo curarono per tre giorni con fumi di aloe, unguenti e medicine che non conoscevo. Le loro mani calde percorsero quel corpo livido di morte, senza sosta e appena il minimo colore della vita tornò nelle sue carni lo portarono alla loro dimora.

    Quando il terzo giorno arrivai al sepolcro con la vecchia, un uomo dalla veste bianca presso la pietra mossa ci disse che Yeshua non si trovava più li. Era il segnale convenuto, l'inizio della partenza per un altro viaggio. Leggeri. Ancora, come una volta lo fu il viaggio della madre, unico bagaglio, la forza dell’amore.

    Arrivammo a Qumraan, accolti e rifocillati da altri monaci. Yeshua, sempre così pallido e assopito, stretto in un impercettibile respiro che a stento gli sollevava il petto. Tanto indifeso non l’avevo visto mai e dal mio cuore si levò uno struggimento sconfinato e una dolente nostalgia per la forza che sapevo esistere sotto quelle palpebre serrate.

    I monaci ci dissero, dopo pochi giorni, che non potevamo rimanere. La legge romana aveva bisogno di un corpo da mostrare vinto ai vinti e non si sarebbe fermata. Lo avrebbero cercato ovunque nella terra di David. Dovevamo raggiungere Dimasq, un’altra comunità di monaci ci avrebbe accolto e lì saremmo stati al sicuro.

    Caricammo pochi cammelli dei viveri per un viaggio lungo alcuni mesi e le tende per accamparci. Sull’animale più robusto montammo un largo basto che gli ricadeva su entrambi i fianchi. Nihadahim, uno dei monaci che lo aveva portato al sepolcro, foderò una catasta di lunghi rami, con foglie di palma e pelli di capra e vi adagiò, pallido e ancora inerte Yeshua avvolto in un telo di canapa grossolana.

    Solo rapidi movimenti sotto le palpebre indicavano che la vita non era spenta. Poi, dopo averlo ricoperto con altre foglie di palma e tele, issò quella sorta di fascina sul cammello, legandogliela al basto su un fianco.

    Dall’altra parte una tenda a bilanciare il peso e sul dorso io, a guidare il cammino.

    Con noi anche il più piccolo dei suoi fratelli, Tohmar. Non ho mai chiesto se la vecchia sapesse. Non avevo il coraggio di sentire che un amore tanto grande avesse potuto subire un inganno così feroce.

    Risalimmo la valle dello Yarden come una qualsiasi carovana in viaggio ma il nostro carico era impalpabile e potente quanto tutto l’amore dell’universo.

    Lo osservavo, la sera alla luce che il fuoco lanciava nell’angolo della tenda dove era il suo giaciglio. Il dolore della croce lo aveva reso diverso. Era chiuso in un roccioso silenzio, lo sguardo che incrociava il mio, sembrava posarsi oltre e comunicare con demoni che solo lui vedeva. A volte li seguiva persino con le mani, creando degli arabeschi nell’aria bruna della sera e delle ombre profonde nel mio cuore. Quando raggiungemmo la fortezza di Metzada, il corpo di Yeshua si stava riprendendo, ma la mente ancora cadeva preda di deliri repentini e improvvisi.

    Sostammo poco presso i Barjonas di Metzada, il cammino era ancora lungo e ci attendevano caldi giorni lungo la sponda orientale del Mar di Galilea.

    Dall’altra parte, c’era il mio villaggio, Gennezareth. L’avevo abbandonato da tanti anni per seguire lui e un vago desiderio di rivedere le antiche strade dove giocavo da bambina mi colse all’improvviso. Poi lo osservai riposare agitato sulla fascina legata al basto e mi prese una tenerezza invadente e il bisogno di stringerlo in un abbraccio. Non ho mai rimpianto un solo momento della vita con lui.

    Dal fondo della valle salutammo le bianche cime del monte Hermon e ci dirigemmo a oriente, sulla pista verso Dimasq e il monastero dei Figli della Luce.

    Sono ormai più di sei anni che viviamo qui. Yeshua continua a lanciare le profondità delle sue molteplici menti in discorsi dal respiro universale ai molti che ancora lo seguono e rimangono rapiti dalla forza che da lui emana.

    Io, Miriam, sua sposa fedele, sarò sempre con lui finché la morte, solo per un poco, non ci separerà.