tre donne, nove occhi. Nove occhi che sanno osservare e fotografare il mondo che incontrano ogni giorno, che sanno catturare i colori della gioia e le sfumature della tristezza, nove occhi che sanno ascoltare le musiche dell'Universo ed esprimersi con le stesse vibrazioni armoniche.
Isa Tamagnini
Isa è una donna dalla personalità intensa, si esprime in modo incisivo e diretto, ama tutto ciò che è cultura. Scrive racconti, poesie, disegna, dipinge e ama creare e ristrutturare lampade di ogni genere.
"Madame Delphine camminava lenta lungo l’argine sconnesso del corso d’acqua caracollando sulle gambe tozze. Una donna in carne, non più giovane. Aveva un volto comune, occhi piccoli e scuri, capelli ondulati con qualche vena di grigio, raccolti a crocchia sopra la nuca. "(tratto da Psycomaenteum, racconto di Isa Tamagnini)scarica pdf
Gabriella Sangiorgi
Gabriella possiede tutte le caratteristiche dell'artista: taciturna, un po' introversa, costantemente in contatto con le proprie sensazioni, che è capace di esprimere egregiamente
utilizzando molteplici tecniche pittoriche e i supporti più bizzarri.
Daniela Borgini
Daniela è una "ricercatrice metafisica", nonostante numerose occupazioni ed impegni quotidiani, i suoi sondaggi nell'animus delle persone, degli eventi , del visibile e dell'invisibile sono un continuo filo conduttore. Tiene corsi di Jnana Yoga e saltuariamente scrive e dipinge.
Finchè la morte - Racconto di Isa Tamagnini (pag.1)
La vecchia lo ripeteva sempre ma allora credevo si riferisse a tutti quegli oggetti, insignificanti che si accumulano anno dopo anno nella vita di ognuno e che si sedimentano nella quotidianità fino a darle lo spessore per essere ricordata nel corso del tempo.
Raccolti e conservati, custoditi nella tana della propria anima fino a determinarne l’essenza e la peculiare unicità.
Abiti e lini coi ricami di famiglia, per asserirne e tramandarne l’esistenza, gioielli, ricordi preziosi e via verso una sempre più parossistica ossessione d’accumulo di mobili, possedimenti, case, persone a strutturare una vita fino a renderla inamovibile.
Radici, le chiamiamo, ma la vecchia non era mai stata d’accordo su questo.
Solo ora, che l’ho dovuto provare sulla pelle ho capito cosa intendeva dire e so che i suoi consigli non erano vaneggiamenti dovuti all’età.
I sentimenti, intendeva. Quegli accumuli di vincoli e legami affettuosi che appesantiscono la capacità di decisione e mettono in pericolo la nostra stessa esistenza. Sono dolci e quotidiani, percepiti giornalmente non ci appaiono come pericoli, ma le stesse nostre sicurezze.
Le radici fondanti della nostra essenza più profonda sono quelle che ci appesantiscono a terra come massi e ci impediscono qualsiasi vivifico spostamento.
< Con Yassuf non avevamo ancora fissato la data. Oh, lo avremmo fatto, ci saremmo sposati di sicuro, ma non ora, ero ancora piccola.
Qualche anno, sarebbe dovuto passare solo qualche altro anno>.
La vecchia me l’aveva raccontata mille volte e questa storia era uno dei pochi bagagli che si trascinava dietro da una vita.
< Poi, lui trovò quello strano fagotto in mezzo ai trucioli in fondo alla bottega. Era bellissimo, ben nutrito e anche se indifeso e appena nato, pareva ostentare un’insolita, indomabile fierezza, uno sguardo profondo come il Mare di Sale. Sembrava che sapesse già la vita.
C’è bastato guardarci negli occhi un attimo per arrivare in fondo al nostro cuore e decidere. Noi eravamo la sua salvezza.
Lui ci aveva scelti e non lo potevamo abbandonare. Fingere di non averlo mai incontrato. Una famiglia la saremmo dovuta diventare, si trattava solo di anticipare i tempi e inventare una bugia che potesse salvarci tutti. Ci siamo sposati e abbiamo lasciato tutto e tutti su due piedi. Con poche cose siamo partiti e senza dirci molto, ma con entrambi la consapevolezza di non tornare. Leggeri, a dorso di somaro verso un censimento in una regione lontana, col piccolo nascosto in una gerla. L’abbiamo chiamato Yeshua, salvezza, e non ci siamo mai pentiti di averlo tenuto perché la nostra salvezza lo è stata davvero.>
Mille volte avrò sentito la vecchia raccontare questa storia e lei vibrava d’un sentimento che traspariva forte, la prima come l’ultima.
Ma la capisco, Yeshua ha qualcosa di speciale dentro di se, e contraddittorio, purtroppo. Tanti anni e ancora non lo riesco a capire, lo posso solo intuire e quanto più mi fa sentire vicino a lui come una comunione di anime e corpi, tanto più lontano fugge e diventa inafferrabile alla mia natura umana.
Sembra che non sia di questa terra.
Ho creduto che mi amasse e sono sicura che lo fa. Ero pronta a donarmi a lui completamente, a seguirlo come moglie devota se me lo avesse chiesto.
Tutto per solo me. Volevo che mi appartenesse come io a lui.
Un desiderio avido, ossessivo che non l’ha mai sfiorato. Quello che chiude nella mente è energia pura. Una folla di mille anime e nessuna di queste è stretta solo alla mia nello stesso vincolo che da me esce. Passa lo sguardo chiaro su di te e senti di essere il centro del suo universo, ma solo che lo distolga e un vento di gelido abbandono ti stringe il cuore. Ma che lo amo e lo amerò per sempre, questo è certo, come il cammino che continuo a percorrere per seguirlo.
< E' sempre stato un bimbo riflessivo, spesso assorto ma curioso e attento e con un'incredibile capacità di intuire i pensieri e il sentire altrui. Nonostante amasse i nostri figli venuti dopo, come veri fratelli, è sempre stato diverso, più nei modi che nell'aspetto. Yassuf e io ne abbiamo parlato a lungo, per tante notti e credo abbiamo preso la decisione giusta quando lo affidammo ai Figli della luce, gli Hasidim di Nazareth.
La saggezza della loro regola e le loro vastissime conoscenze avrebbero coltivato la forza di Yeshua meglio delle nostre misere capacità.>
La vecchia a questo punto si fermava come a raccogliere i ricordi. Con cura, dal mare di pensieri, li staccava come datteri maturi dal ramo e me li offriva con la consuetudine monotona e confortante di parole rivissute mille volte.
A questo punto del racconto, gli occhi della vecchia luccicavano di un orgoglio che non riusciva a celare. Un bagliore istantaneo che poi si spegneva mentre riprendeva il fiato e continuava.
Mi impietosiva vederla così, ma condividevo il suo sentire. Yeshua non fu mai più suo come non e stato più mio dopo la prima volta. Era di tutti e tutti erano in lui. I molti lo infestarono fino ad avvelenarlo.
E venne il tempo che non lo compresi più, Viaggiava lontano, avvolto nelle spirali della gloria che i molti gli decretarono. Il suo sguardo limpido si offuscò di un corrusco delirio di potenza divina. Ma lo amavo e lo seguivo ovunque, con dolore e paura di perderlo ad ogni attimo, finché inesorabile la fine giunse quando i molti che non capivano, annoiati, seguirono altre lusinghe.
Solo gli Hasidim non lo abbandonarono mai. A Yerushalayim, i monaci guaritori dopo aver smesso le vesti candide dell’ordine, si nascosero tra la gente e furono con lui fino all'ultimo atto della rappresentazione. (Segue pag. 2)
Finchè la morte - Racconto di Isa Tamagnini (pag.2)
Conoscevano il modo di infliggere ferite che non procurassero un dolore che il Maestro dei Maestri non avesse imparato negli anni di iniziazione a sopportare.
La strada che i chiodi presero verso la croce era piana agli occhi di chi la conosceva.
Poche ore e il cuore si spense. Il respiro tacque. Il Figlio della luce, il più amato, sembrò vinto dalla morte. Io stessa, che sapevo, ai piedi della croce e la vecchia, non potemmo che crederlo tale. Quando la terra tremò e tutti fuggirono spaventati, nessuno fece caso ai due monaci che lo portarono al sepolcro.
Chiusi dentro, lo curarono per tre giorni con fumi di aloe, unguenti e medicine che non conoscevo. Le loro mani calde percorsero quel corpo livido di morte, senza sosta e appena il minimo colore della vita tornò nelle sue carni lo portarono alla loro dimora.
Quando il terzo giorno arrivai al sepolcro con la vecchia, un uomo dalla veste bianca presso la pietra mossa ci disse che Yeshua non si trovava più li. Era il segnale convenuto, l'inizio della partenza per un altro viaggio. Leggeri. Ancora, come una volta lo fu il viaggio della madre, unico bagaglio, la forza dell’amore.
Arrivammo a Qumraan, accolti e rifocillati da altri monaci. Yeshua, sempre così pallido e assopito, stretto in un impercettibile respiro che a stento gli sollevava il petto. Tanto indifeso non l’avevo visto mai e dal mio cuore si levò uno struggimento sconfinato e una dolente nostalgia per la forza che sapevo esistere sotto quelle palpebre serrate.
I monaci ci dissero, dopo pochi giorni, che non potevamo rimanere. La legge romana aveva bisogno di un corpo da mostrare vinto ai vinti e non si sarebbe fermata. Lo avrebbero cercato ovunque nella terra di David. Dovevamo raggiungere Dimasq, un’altra comunità di monaci ci avrebbe accolto e lì saremmo stati al sicuro.
Caricammo pochi cammelli dei viveri per un viaggio lungo alcuni mesi e le tende per accamparci. Sull’animale più robusto montammo un largo basto che gli ricadeva su entrambi i fianchi. Nihadahim, uno dei monaci che lo aveva portato al sepolcro, foderò una catasta di lunghi rami, con foglie di palma e pelli di capra e vi adagiò, pallido e ancora inerte Yeshua avvolto in un telo di canapa grossolana.
Solo rapidi movimenti sotto le palpebre indicavano che la vita non era spenta. Poi, dopo averlo ricoperto con altre foglie di palma e tele, issò quella sorta di fascina sul cammello, legandogliela al basto su un fianco.
Dall’altra parte una tenda a bilanciare il peso e sul dorso io, a guidare il cammino.
Con noi anche il più piccolo dei suoi fratelli, Tohmar. Non ho mai chiesto se la vecchia sapesse. Non avevo il coraggio di sentire che un amore tanto grande avesse potuto subire un inganno così feroce.
Risalimmo la valle dello Yarden come una qualsiasi carovana in viaggio ma il nostro carico era impalpabile e potente quanto tutto l’amore dell’universo.
Lo osservavo, la sera alla luce che il fuoco lanciava nell’angolo della tenda dove era il suo giaciglio. Il dolore della croce lo aveva reso diverso. Era chiuso in un roccioso silenzio, lo sguardo che incrociava il mio, sembrava posarsi oltre e comunicare con demoni che solo lui vedeva. A volte li seguiva persino con le mani, creando degli arabeschi nell’aria bruna della sera e delle ombre profonde nel mio cuore. Quando raggiungemmo la fortezza di Metzada, il corpo di Yeshua si stava riprendendo, ma la mente ancora cadeva preda di deliri repentini e improvvisi.
Sostammo poco presso i Barjonas di Metzada, il cammino era ancora lungo e ci attendevano caldi giorni lungo la sponda orientale del Mar di Galilea.
Dall’altra parte, c’era il mio villaggio, Gennezareth. L’avevo abbandonato da tanti anni per seguire lui e un vago desiderio di rivedere le antiche strade dove giocavo da bambina mi colse all’improvviso. Poi lo osservai riposare agitato sulla fascina legata al basto e mi prese una tenerezza invadente e il bisogno di stringerlo in un abbraccio. Non ho mai rimpianto un solo momento della vita con lui.
Dal fondo della valle salutammo le bianche cime del monte Hermon e ci dirigemmo a oriente, sulla pista verso Dimasq e il monastero dei Figli della Luce.
Sono ormai più di sei anni che viviamo qui. Yeshua continua a lanciare le profondità delle sue molteplici menti in discorsi dal respiro universale ai molti che ancora lo seguono e rimangono rapiti dalla forza che da lui emana.
Io, Miriam, sua sposa fedele, sarò sempre con lui finché la morte, solo per un poco, non ci separerà.